Come scrivere una Newsletter aziendale – Seconda parte
La newsletter aziendale è l’architrave di qualunque strategia di email marketing e content marketing. Imparare a farla, strategicamente e operativamente, è un imperativo per qualunque azienda online che voglia stabilire una relazione con i propri utenti e clienti.
Nella prima parte abbiamo visto perché ogni azienda dovrebbe averne una, quali tipologie esistono (di branding, di informazione, di vendita, di relazione) e come scegliere tono, linguaggio e strategia.
Come costruire una newsletter aziendale – seconda parte
In questa seconda e ultima parte entriamo nel lato più pratico della produzione di una newsletter. Come farla funzionare dal lato tecnico: settaggio e segmentazione, tecniche di invio e analisi dei risultati. Perché la newsletter non è solo scrittura e idee, è anche e soprattutto metodo, struttura e analisi, tre elementi che fanno la differenza tra una newsletter efficace e consultata e una che finisce nel cestino (o peggio, nello spam).
1. Autenticazione tecnica e deliverability
Prima ancora di parlare di contenuti, bisogna assicurarsi che la newsletter arrivi a destinazione.
Non c’è messaggio, per quanto geniale, che serva a qualcosa se non viene recapitato correttamente. La deliverability, cioè la capacità di far arrivare l’email nella casella “principale” del destinatario, è la base di tutto, Alla deliverability abbiamo dedicato un intero articolo qui, aggiornato poi con le ultime regole qui.
La deliverability in pratica si intende la capacità della newsletter di arrivare effettivamente a destinazione e questo comporta una configurazione tecnica corretta perché anche la miglior newsletter del mondo può essere bloccata dai filtri anti-spam.
È qui che entrano in gioco tre sigle fondamentali — SPF, DKIM e DMARC — che certificano l’autenticità e l’affidabilità del mittente.
Ora, non serve essere tecnici per gestirli: chi utilizza ActiveCampaign ha la strada già spianata. Il software gestisce automaticamente buona parte di queste configurazioni, facilitando l’invio da domini verificati e migliorando in modo significativo la deliverability.
In pratica, ti basta seguire le istruzioni di connessione del tuo dominio e ActiveCampaign si occupa di tutto il resto.
2. Design, leggibilità e struttura visiva
Una newsletter può avere contenuti eccellenti e un’ottima deliverability, ma se non si legge bene tutto il lavoro è inutile. È la differenza tra un’email che si apre e si scorre con piacere, e una che viene chiusa dopo due secondi.
Negli ultimi anni, il design delle newsletter aziendali è cambiato molto: si è passati da layout grafici complessi e pieni di immagini a formati più semplici, “editoriali”, incentrati sul testo.
Questo perché la leggibilità è diventata una priorità assoluta, sia per gli utenti (che leggono da mobile in più del 90% dei casi) sia per gli algoritmi antispam, che tendono a penalizzare le email troppo “pesanti” o costruite come mini-landing page.
Oggi la regola è: meno grafica, più sostanza.
Un buon design non deve stupire, ma far scorrere lo sguardo. Spazi bianchi, testo ben strutturato, contrasti leggibili, e immagini usate con una funzione precisa, non come riempitivo.
Ad esempio, cruciale è la scelta dei font: evita quelli personalizzati che alcuni client non leggono e resta su sans serif puliti e sicuri (come Arial, Helvetica, Open Sans, che è quello che usiamo noi).

Struttura e formattazione
Una newsletter aziendale efficace segue uno schema chiaro, che aiuta il lettore a capire subito dove si trova e cosa aspettarsi:
- Header semplice, con logo e link al sito o al blog.
- Un titolo breve e forte, che anticipa l’argomento.
- Un corpo centrale ordinato, suddiviso da sottotitoli, blocchi visivi o brevi separatori.
- Una chiusura coerente, con call-to-action chiara (approfondisci, scopri, rispondi, leggi sul blog).
Inoltre, ricordati che la newsletter deve essere responsive: controlla sempre l’aspetto su mobile, tablet e desktop. Un’email che “si rompe” o costringe a zoomare è un invito alla disiscrizione.
Colori e immagini
Il colore comunica fiducia. Non serve un arcobaleno: basta coerenza con l’identità visiva del brand. Una palette coerente – anche solo due o tre colori – rafforza la riconoscibilità e dà un senso di ordine. Le immagini poi, devono aggiungere valore: mostrare un prodotto, un volto, un’azione, non essere decorazioni di contorno.
Lunghezza ideale
Non esiste una misura perfetta, ma una regola sì: scrivi finché sei interessante. Se hai bisogno di dire di più, linka a un articolo del blog o a una risorsa esterna. In media, le newsletter con meno di 500 parole registrano i migliori tassi di lettura e clic, soprattutto quando la struttura visiva aiuta a “respirare” tra un blocco e l’altro.
In sostanza, il design della newsletter non è questione estetica ma di accessibilità cognitiva: deve far arrivare il messaggio, senza distrazioni.
Oggi la bellezza non è nel layout, ma nella chiarezza.
3. Frequenza, tempistiche e psicologia dell’invio
Una delle domande che più frequentemente ci vengono rivolte è: ogni quanto devo mandare la newsletter? E la risposta breve è: dipende. Da cosa? Dal valore che riesci a offrire ogni volta che scrivi.
Lo scopo di una newsletter è offrire valore. Quello di una newsletter in una strategia di email marketing e customer experience marketing è di offrire valore al fine di stabilire una relazione fatta di fiducia e stima che il cliente/lettore ripone nell’azienda, fiducia che sarà ripagata nel momento in cui l’azienda proporrà la vendita dei propri prodotti.
Fino a quel momento, si offre valore (contenuti interessanti per il lettore) senza chiedere nulla in cambio se non la sua attenzione.
Da questa scelta derivano le ovvie conseguenze sul contenuto e sulla frequenza.
Se hai tanto da dire e se sai che quello che dici è apprezzato, potrai mandare anche tre newsletter alla settimana, perché no?
Diversamente dovrai fare i conti con le risorse che hai a disposizione per realizzare una newsletter interessante e stabilirne la periodicità.
Tra 2 e 4 invii al mese
Gli standard attuali sono, secondo gli ultimi report internazionali (HubSpot 2024, Litmus Email Engagement 2025) di un ritmo tra 2 e 4 invii al mese, con una costanza riconoscibile e un tono coerente. Non troppo rare da farsi dimenticare, non troppo frequenti da sembrare invadenti.
La costanza è ciò che costruisce fiducia: quando l’utente sa che “ogni venerdì” o “ogni primo lunedì del mese” arriva la tua newsletter, si prepara a riceverla.
Quando inviare
Il “momento perfetto” non esiste in senso assoluto, ma i dati aiutano: le aperture più alte si registrano tra martedì e giovedì, nelle fasce 9:00–11:00 e 16:00–18:00. Tuttavia, il miglior accertamento che puoi fare è testare sul tuo pubblico: abitudini e orari cambiano moltissimo da settore a settore.
Per esempio, un e-commerce B2C ottiene spesso risultati migliori nel weekend, quando le persone hanno tempo per esplorare offerte e contenuti; mentre un’azienda B2B trova più engagement in orario d’ufficio.
I sistemi come ActiveCampaign permettono di automatizzare questa parte con l’invio “predittivo”: il software studia le abitudini del singolo contatto e invia la mail nel momento in cui, statisticamente, è più probabile che apra.
La psicologia del ritmo
Una newsletter funziona quando il lettore la percepisce come un appuntamento che vuole mantenere. Non deve essere un’interruzione, ma un’abitudine. È qui che entrano in gioco due concetti fondamentali: coerenza e attesa.
La coerenza rassicura (“so cosa aspettarmi da questa azienda”), l’attesa genera curiosità (“chissà cosa scriveranno questa volta”). Quando le due si incontrano, hai costruito una relazione stabile.
In sostanza, non contano i numeri ma il respiro. Meglio una newsletter al mese che vale la pena aprire, che quattro a settimana che finiscono nello spam o, peggio, nell’indifferenza.
4. Come integrare l’intelligenza artificiale nel workflow della newsletter
L’intelligenza artificiale non scrive al posto tuo, ma può rendere il tuo processo di creazione molto più veloce, coerente e intelligente. La differenza è tutta qui. E chi impara a usarla bene – senza delegarle la voce del brand – guadagna tempo, precisione e, soprattutto, costanza.
Negli ultimi due anni l’uso dell’AI nell’email marketing è esploso: secondo il “Email Marketing Benchmark Report 2025” di Validity, oltre il 64% delle aziende utilizza già strumenti di intelligenza artificiale per almeno una parte del processo editoriale della newsletter. Ma la maggioranza lo fa in modo assistivo, non sostitutivo: l’AI ti serve a supportare il lavoro umano, non a sostituirlo.
Dove l’AI può davvero aiutare
La prima e più ovvia applicazione è nella ricerca e ideazione dei contenuti. Generare idee, titoli alternativi, angolazioni e ispirazioni partendo da trend di settore o da un archivio di articoli precedenti: l’AI può analizzare centinaia di fonti e restituirti in pochi secondi una mappa di spunti utili (specialmente se l’addestri ad essere critica e spietata con te, non assertiva e compiacente).
Ma il vero valore emerge nella fase di analisi e ottimizzazione. Gli algoritmi sono capaci di individuare quali argomenti generano più aperture o clic, e suggerire modifiche basate su dati concreti. Non opinioni, dati.
Strumenti come ActiveCampaign integrano già modelli di AI per migliorare le performance in tre aree chiave:
- Ottimizzazione dei tempi di invio, grazie al machine learning predittivo.
- Analisi del comportamento del lettore, con segmentazioni dinamiche basate su apertura, clic, acquisti.
- Suggerimenti per contenuti personalizzati, in base agli interessi reali del contatto.
In altre parole, la macchina ti aiuta a parlare meglio con chi ti legge. Ma il tono, la voce, il messaggio, quelli restano tuoi.
Come usare l’AI senza perdere autenticità
Il rischio principale dell’AI è l’omologazione. Se tutte le aziende scrivono newsletter “generate” da modelli simili, tutto suonerà uguale. È qui che entra in gioco l’abilità umana: riscrivere, adattare, filtrare.
Usa l’AI per le bozze, per le analisi, per testare alternative. Ma tieni per te le rifiniture, le connessioni emotive, l’umorismo, il ritmo del linguaggio.
Un metodo semplice per integrarla nel tuo flusso di lavoro può essere questo:
- Fase 1: ideazione. Chiedi all’AI idee e spunti partendo da obiettivi e target.
- Fase 2: selezione. Scegli cosa risuona davvero con il tuo brand.
- Fase 3: scrittura. Scrivi tu, lasciando che la macchina ti assista con alternative di titoli, call-to-action o layout.
- Fase 4: analisi post-invio. Usa i report predittivi per capire cosa migliorare la prossima volta.
In sintesi: l’intelligenza artificiale è come un ottimo stagista (va’ be, non proprio ottimo, a volte vorresti menargli). Ma ti velocizza, ti suggerisce, ti libera tempo, ma se non lo guidi, non saprà dove andare.
5. Metriche, performance e ritorno sull’investimento
Una newsletter aziendale non serve “per esserci”. Serve, come abbiamo spiegato fino alla nausea, per generare valore. E il valore, nel marketing digitale, si può misurare.
Le metriche dell’email marketing si sono evolute. Fino a pochi anni fa si guardava quasi solo al tasso di apertura (open rate). Oggi quella metrica è diventata molto meno affidabile, soprattutto da quando i provider oscurano i dati di tracciamento per motivi di privacy.
Il vero indicatore di efficacia quindi non è più “quanti aprono”, ma cosa succede dopo l’apertura.
Le metriche che contano
Le newsletter più performanti sono quelle che generano interazione. I dati 2025 di HubSpot e Campaign Monitor indicano che:
- Il tasso medio di clic (CTR) per le newsletter aziendali è tra 2,6% e 4,3%;
- Le email con un tono conversazionale, non promozionale, hanno un engagement superiore del 42%;
- I brand che tracciano il comportamento post-clic (lettura articoli, iscrizioni, acquisti) ottengono un ROI fino a 36 volte superiore rispetto a chi si ferma al monitoraggio base.
In pratica, non importa quante persone leggono la tua newsletter, ma quanti passano all’azione dopo averla letta.
Come collegare i dati al business
Ogni invio quindi dovrebbe avere un obiettivo chiaro: informare, ispirare, vendere, fidelizzare con un indicatore che lo misuri. Per esempio:
- Se l’obiettivo è la fidelizzazione, misura la frequenza di apertura e la durata dell’iscrizione.
- Se l’obiettivo è la vendita, misura il tasso di clic sugli inviti all’acquisto e il valore medio degli ordini generati.
- Se l’obiettivo è la brand awareness, guarda le interazioni con i contenuti di approfondimento o i feedback ricevuti.
In questo senso, una newsletter ben fatta diventa un radar: ti mostra cosa funziona e cosa no, dove il pubblico risponde e dove invece scivola via.
ROI: quanto rende davvero una newsletter?
L’email marketing resta, anno dopo anno, il canale con il miglior ritorno sull’investimento nel digitale. Secondo la DMA (Data & Marketing Association, 2025), il ROI medio globale è di 42 dollari per ogni dollaro speso.
È una cifra enorme se pensi che nessuna campagna social o adv a pagamento si avvicina a questi livelli di efficienza.
Ma il motivo non è solo economico: una newsletter efficace non “vende” a freddo, costruisce fiducia nel tempo. Ogni invio è un mattone nella relazione. E più solida è la relazione, più facile diventa generare conversioni, non solo oggi ma anche domani.
In fondo, la vera metrica del successo non è nel report di fine mese. È nella risposta che arriva, magari breve, da un cliente che scrive: “Mi piace quello che fate.”
Ecco, quando questo accade: hai vinto.
Conclusione – La newsletter come patrimonio aziendale
Arrivati alla fine di questo percorso, due articoli, decine di consigli, qualche numero e molti esempi, il punto è uno solo: la newsletter non è un compito da spuntare, è un asset strategico dell’azienda.
In un ecosistema dove ogni giorno nascono nuove piattaforme e le regole degli algoritmi cambiano come il vento, la newsletter resta l’unico canale che controlli davvero. È il tuo spazio, la tua voce, la tua relazione diretta con chi ti ha dato il permesso di entrare nella sua casella di posta. E questo, nel 2025, vale più di qualunque follower su Instagram o visualizzazione su TikTok.
Una newsletter aziendale non serve a “mandare aggiornamenti”, ma a costruire fiducia. È la lente con cui i clienti vedono chi sei, come lavori, cosa credi. E soprattutto, perché dovrebbero scegliere te invece di un altro.
Non è un mezzo di comunicazione. È una relazione in corso. E come tutte le relazioni che funzionano, cresce solo se ci metti tempo, cura e autenticità.
Perché alla fine, la newsletter aziendale non è solo un messaggio che parte da un server. È un pezzo di te che arriva a qualcuno, e gli dice: Ehi, ci siamo ancora. E abbiamo qualcosa di importante da raccontarti.

















