L’open rate è diventato un dato inutile
L’email marketing è fatto di email da inviare e di metriche da analizzare. Una di queste, una delle più utilizzate, è l’open rate, il tasso di apertura di una email, di una campagna, di una automazione. Se riscontriamo un open rate alto vuol dire che la email è in linea con il target, che la riga dell’oggetto. fondamentale per “agganciare” gli utenti, ha assolto lo scopo, che la campagna, almeno in questa fase, sta andando bene.
Al contrario un open rate basso significa che c’è da cambiare qualcosa, l’oggetto probabilmente non è in linea con il target o con le best practices sul come tenere una lista marketing, o i filtri antispam stanno causando qualche problema, insomma, c’è da intervenire.
In tutti i casi l’open rate è un dato indiscutibile, una metrica fondamentale. O no?
È stato vero fino a qualche tempo fa. Ora questo scenario è cambiato e l’open rate, per una serie di ragioni che adesso esaminiamo, non è più un dato affidabile. Gli va sempre buttato un occhio, certo, ma non è (più) da questo dato che possiamo basare strategie e azioni e misurare il successo delle campagne.
Come funziona l’open rate
In realtà l’open rate non è mai stata una metrica esatta, al suo interno ha sempre contenuto degli errori. I principali problemi stavano e stanno nella metodologia di tracciamento delle aperture delle email che non è affidabile. Per i seguenti motivi.
Il pixel problematico
Come si tracciano le aperture delle email? Qualsiasi email inviata tramite un provider di servizi di posta elettronica contiene un pixel incorporato al suo interno. È invisibile all’utente ed è quel pixel che traccia le aperture di quella email.
Quando il pixel viene caricato, il client di posta invia un segnale al provider che lo considererà un’apertura, mentre se non viene caricato il provider non riceve niente. Il problema sta nei falsi positivi o negativi che questo sistema non rileva.
Ad esempio un utente può aver impostato il suo client di posta per leggere solo email testuali senza grafica. In questo caso, l’utente apre la email ma l’apertura non viene tracciata. Un falso negativo.
I filtri antispam
I filtri possono essere un’altra causa di falsi, in questo caso positivi. I filtri antispam del nostro client di posta (Gmail, Outlook ecc) prevedono che ogni email che ci arriva sarà prima aperta da un bot antispam. In alcuni casi, il filtro antispam aprirà le email più volte, segnalando al sistema più aperture, mentre il destinatario non ha aperto l’email mai. Risultato: ci vengono segnalate aperture che non sono tali.
Apri non è la stessa cosa di “leggi”
Qui abbiamo a che fare con il comportamento dell’utente. L’open rate viene valutato non solo come segnale di apertura, ma anche di interesse del contenuto da parte dell’utente. Ma il solo fatto che un utente apra una email, non significa che sia stata effettivamente letta.
Alcuni utenti aprono le email solo perché vogliono ripulire una casella di posta e ridurre la quantità di e-mail non lette, oppure possono aprire un’email per annullare l’iscrizione a una campagna.
Ci sono molte ragioni per cui è possibile aprire un’email che non ha nulla a che fare con l’interesse per il contenuto.
Quando si cambia provider è normale vedere open rate più bassi
È una domanda che ci viene fatta molto spesso: “Perché i miei tassi di apertura sono cambiati da quando sono passato a un nuovo provider?”
Quando si cambia provider di servizi di posta elettronica, è del tutto normale che si ricevano dei dati differenti. È come quando si cambia una infrastruttura di base. I client di posta come Gmail, Microsoft, ecc. creano un nuovo profilo per te come mittente. Questo profilo include un punteggio di reputazione che i server di posta calcolano in base a molti fattori, ma principalmente si basano su come gli abbonati reagiscono alle tue email.
Ogni volta che c’è una modifica dell’infrastruttura, i server devono ricalcolare la reputazione di te come mittente. Durante questo periodo è normale vedere aumentare o diminuire i tassi di apertura.
La funzione privacy di Apple è la pietra tombale sull’open rate
Come se non bastasse, a decretare la fine dell’open rate come metrica affidabile ci ha pensato Apple, con l’APP, Mobile Privacy Protection, la funzione di protezione della privacy dell’utente.
Detenendo il 30% del mercato degli smartphone nel mondo, ogni modifica di Apple impatta pesantemente sul mercato.
Rilasciata a settembre 2021, la funzione Apple MPP è disponibile per i clienti che utilizzano l’app Apple Mail su iOS 15, iPadOS 15, macOS Monterey e watchOS 8.
A questi clienti Apple presenta automaticamente la scelta: “Proteggi l’attività della posta”. Questo comporta che i tassi di apertura unici e totali risulteranno aumentati perché gli utilizzatori appariranno come se aprissero sempre le tue email.
Ad esempio, supponiamo che il tuo tasso di apertura unico medio sia del 25% e che il 40% dei tuoi lettori utilizzi Apple Mail. Con il lancio dell’MPP, il tuo tasso di apertura unico cambierà artificialmente dal 25% al 55%.
Questa modifica alla privacy riguarda solo gli utenti effettivi di Apple Mail e non interessa le persone che utilizzano Gmail, Outlook o un’altra app di posta sul proprio dispositivo iOS.
Ma in tutti i casi questo è un ulteriore colpo all’affidabilità dell’open rate.
(Possiamo dire che questo sbandierata ossessione di Apple per i dati degli utenti, considerati sacri, sia in realtà puro e semplice marketing? Quando c’è stato da scegliere tra dati degli utenti e profitti, come in Indonesia, dove il governo ha imposto ad Apple non solo di raccoglierli i dati, ma di passarli anche al governo, a pena di espulsione da quel mercato, la società di Cupertino non ha fatto una piega).
Mai usare l’open rate per trigger di automazioni
Quando si usa l’email marketing in fase avanzata, le automazioni di email sono il pane quotidiano dell’email marketer. Le automazioni, anche dette sequenze, sono email automatiche che vengono inviate a gruppi di iscritti alla lista e che partono non in base ad interventi umani, ma se e quando accadono determinati eventi.
Abbiamo spiegato le automazioni in dettaglio in questo articolo.
In pratica, nel quadro di un costante monitoraggio del sito (site tracking) e dell’attività degli utenti nel sito stesso, siamo in grado di tracciare gli utenti e i loro comportamenti. E in base ad alcuni di questi, stabilire se devono essere raggiunti da email automatiche.
Come funzionano le automazioni
Ad esempio, un gruppo di utenti supera la soglia dei 6 atterraggi su una pagina di vendita del Prodotto Uno. Potremmo aver deciso che questa soglia di 6 costituisca un trigger (un segnale di partenza) per far partire una automazione per tutti quegli utenti che arrivano a questa soglia. Al raggiungimento di quota sei, ogni utente riceverà una email o una automazione di vendita del prodotto uno, magari con uno sconto o un coupon.
Analogamente possiamo prevedere una automazione per tutti coloro che aprono la nostra Newsletter, basata per ipotesi, alla quinta newsletter aperta di seguito. E per attivarla ci basiamo sui dati dell’open rate.
Ecco, meglio non farlo.
Le automazioni funzionano molto e bene quando raggiungono utenti correttamente tracciati e che ricevono email personalizzate proprio su quei tracciamenti esatti, che corrispondono a precisi comportamenti, a loro volta significativi di precisi desideri.
Inviare una email ad un utente con magari un premio perché apre sempre la newsletter, quando nella realtà non la apre da mesi, non è una bella mossa. Anzi, l’utente potrebbe capire sia di essere stato spiato e che tu l’abbia fatto pure male., potrebbe considerarti una impresa sgangherata e abbandonarti all’istante.
Cosa possiamo ancora salvare dell’open rate
Ora, se l’open rate non è più una metrica affidabile, non significa che di quei dati dobbiamo farne un falò. I dati vanno sempre guardati. Ma mentre non possiamo più considerarli come una rappresentazione veritiera dell’interesse che riscontra la nostra lista, sono comunque dati utili che, se saputi interpretare, possono comunque dirti qualcosa.
Qual è il tasso medio della mia categoria?
Un’altra domanda che ci fanno in continuazione è: dimmi qual è il tasso medio di open rate del mio settore, in modo che possa fissare degli obiettivi. Ecco, questo ad esempio è un falso problema, in quanto il tasso varia e di molto, come abbiamo appena visto. E di conseguenza è un falso dato. Se poi ci mettiamo anche le difficoltà di tracciamento, ecco che abbiamo un dato quasi completamente campato in aria.
Qual è la tendenza?
Questa invece è una domanda che ha senso farsi e l’open rate può dare risposte attendibili, a prescindere dagli errori di tracciamento. Se il tuo open rate è in fase decrescente da diverse campagne a questa parte, è legittimo presumere che ci sia qualcosa che non va nelle email che invii, e questo al di là del fatto che i lettori risultino essere 1500 invece di 1300 o 1800. Quello che interessa è il calo, che prescinde dai numeri assoluti.
Viceversa, se l’open rate è in fase crescente, be’ allora c’è di che rallegrarsi., stai andando bene. Ma anche qui non c’entrano falsi positivi o negativi. Di conseguenza ha senso modificare qualcosa nei tuoi contenuti per invertire la tendenza.
Open rate ottimo per fare test A/B
Purché ci si ricordi sempre che è imperfetto, l’open rate ha senso se vuoi effettuare split test all’interno dello stesso account. Puoi testare due diversi oggetti e due diversi pre-header, per vedere quali funzionano meglio (qui trovi una guida completa allo split test sull’oggetto della email).
Open rate in conclusione
Quindi possiamo dichiarare la morte dell’open rate come metrica? Come hai visto le difficoltà insite nel tracciare correttamente le aperture ci dicono che non è più da questa metrica che possono partire strategie e cambiamenti. Però nonostante questo l’open rate resta un dato da tenere d’occhio se non altro per confrontarlo in caso di cambiamento o per incrociarlo con un altro dato, questo sì, fondamentale che è il click rate. E non da solo, ma assieme ad altre metriche, chiamate anche KPI, di cui abbiamo parlato in questo articolo.