12 errori comuni nell’email marketing
Quando si tratta di sviluppare campagne di marketing di qualità, l’email marketing rimane la scelta ideale, soprattutto per i proprietari di piccole imprese. Il problema è che sebbene l’email come canale funzioni bene per molte aziende, non sono poche le campagne email che falliscono per motivi riconducibili ad errori grossolani, commessi in fase di partenza o lungo il cammino.
Lavorando in questo settore da più di dieci anni e avendo avuto oltre mille clienti, ci siamo resi conto di quali siano gli errori più comuni che si commettono quando si fa email marketing.
E non parliamo specificamente di sequenze automatiche o di funzionalità particolarmente complesse. Parliamo invece di errori comuni, grossolani che si commettono in buona fede, alcuni gravi, altri meno gravi o anche semplici dimenticanze che però possono causare danni rilevanti, influenzando il Roi di tutto il settore.
Più che tendere a migliorare è sempre meglio non trascinarsi dietro errori di base
Gli errori di cui parleremo sono tanto comuni ed evitabili, quanto impattanti sul business. E lo sono al punto che è assolutamente necessario non commetterli in quanto influenzano il Roi, e soprattutto non consentono di sfruttare appieno le grandi potenzialità dell’email marketing che, se attuato bene e senza errori, consente ritorni straordinari.
12 errori comuni nell’email marketing
Vediamo allora da vicino questi 12 errori, come non commetterli o nel caso, porvi rimedio.
1 – Non controllare la deliverability del dominio
Cos’è la deliverability? In sostanza è la capacità che ha una email da te inviata di raggiungere il destinatario. Questo perché non è affatto detto che ogni volta che invii una email, questa arrivi effettivamente.
Puoi leggere una guida completa alla deliverability per conoscere a fondo l’argomento. Qui ci limitiamo a dire che il mancato controllo della deliverability è un errore “pre-email marketing”, commesso cioè prima ancora di cominciare.
Costantemente ci capitano clienti che vogliono utilizzare il canale dell’email marketing, e che hanno anche idee buone su come e cosa comunicare. Oppure che hanno già cominciato e desiderano migliorare.
Quando iniziamo a collaborare entrambe le tipologie di clienti denunciano open rate bassissimi e click rate tendenti allo zero e si chiedono (e ci chiedono) come diavolo sia possibile, dato che producono contenuti di qualità, danno valore gratuito all’utente e sono attenti agli altri elementi che periodicamente fanno dell’email marketing un canale vincente.
A tutti ripetiamo quello che stiamo scrivendo qui. La deliverability è un asset prezioso della strategia dell’email marketing e ad essa va riservata la massima attenzione.
Controllare la deliverability del dominio significa assicurarsi che il proprio dominio non sia considerato dai server di posta elettronica come un dominio fonte di spam. Perché se così fosse, nessuna campagna email, quand’anche realizzata con una qualità da campionato del mondo, riuscirà mai ad arrivare a destinazione.
Perché il mio dominio è considerato spam?
Ogni server di posta ha la sua blacklist con i domini considerati spam. Il tuo dominio può esserci finito per vari motivi e non tutti dipendenti da cose che hai fatto.
Ci possono essere cause esterne e interne.
Tra queste ultime, puoi controllare se in passato hai inviato campagne email che sono state considerate come spam. Magari hai insistito troppo, hai mandato troppe email, e gli utenti irritati hanno cominciato a contrassegnarti come spam.
Oppure, tra le cause esterne, possono essere stati i tuoi competitor a danneggiarti, come è successo recentemente con un nostro cliente che è stato attaccato da un competitor disonesto. Abbiamo scoperto che la lista del nostro cliente è stata colpita da un bot che ha segnato ripetutamente le sue email come spam, cosa che ha comportato l’ingresso del dominio in numerose blacklist di posta.
Accade anche questo.
(Niente paura comunque. Un affiancamento con Active Powered significa anche che non solo possiamo scoprire questo tipo di operazioni ma anche porvi rimedio: sappiamo bene come eliminare un cliente da una blacklist).
Proteggere la reputazione del dominio
La deliverability va sempre controllata e soprattutto va controllata all’inizio delle operazioni Ci sono diversi tool che puoi usare. Il principale che usiamo noi è Send Forensics, ma se usi ActiveCampaign puoi utilizzare uno standard denominato DMARC che ti consente di superare diversi sbarramenti e controlli.
(All’inizio è un po’ seccante perché va configurato per bene, per cui ci si mette un po’ di tempo. Servono anche un minimo di competenze tecniche, però è una cosa che va fatta per proteggere la reputazione del proprio dominio ed evitare che venga considerato come spam).
Quindi prima di cominciare qualunque operazione, controlla come sei messo a deliverability, perché puoi fare i migliori oggetti del mondo, le migliori strategie del mondo, ma se le email finiscono in spam buonanotte ai sognatori. O, in questo caso, ai mittenti.
Come scoprire se sei finito in una blacklist
Come hai visto puoi finire in una blacklist con estrema facilità e completamente a tua insaputa. Nessun server di posta ti scriverà dicendo: “complimenti sei finito nella nostra blacklist e da oggi in poi per noi sarai solo spam da nascondere sotto il tappeto!”. Quindi sei tu che devi tenere le antenne dritte.
Tieni d’occhio ad esempio, il parametro dell’open rate. Se cala bruscamente c’è un problema. Puoi usare un tool come il già citato Send Forensics per monitorare tutte le blacklist principali.
(il nostro cliente era sceso dal 30% bruscamente al 7. Era chiaramente successo qualcosa).
2 – Email non ottimizzate per mobile
Sembra incredibile visto che oramai tutti abbiamo gli smartphone e tutti andiamo per la maggior parte del tempo su internet via mobile, eppure c’è ancora chi oggi si scorda che inviare un qualunque contenuto, che sia una email o una landing page non ottimizzato per mobile è la migliore assicurazione che quel contenuto non lo vedrà nessuno.
Abbiamo già pubblicato una intera e completa guida alle email ottimizzate per mobile, qui ci limitiamo a dire che una email più è semplice e meglio è.
Per semplice intendiamo essenziale. Per quanto ci riguarda le nostre best practices sono:
- 90% testo.
- Meglio con una sola immagine se proprio è necessario (spesso si tratta del logo in alto).
- Evitare assolutamente di inviare un’immagine con il testo all’interno.
Per noi questo è lo standard, a meno che ovviamente non ci siano motivi particolari nel fare diversamente, ad esempio e-commerce che hanno necessità di mandare email più strutturate (come nel caso delle email automatiche di carrello abbandonato).
In generale comunque meno si immette grafica elaborata e immagini e meglio sarà per la visualizzazione da mobile. In tutti i casi, qualunque email produciate, assicuratevi di controllarla in una preview per mobile.
3 – Creare comunicazioni a senso unico
Per comunicazione a senso unico, intendiamo comunicazione unilaterale. Io scrivo, tu leggi, io offro, tu compri, io dispongo, tu esegui.
Come la comunicazione dei ministeri o degli enti pubblici, tipo.
La migliore comunicazione è sempre quella bilaterale, cioè dialogo e non monologo. Questo è vero soprattutto nell’email marketing e nel “miglior” email marketing, quello fatto per creare una relazione, ad esempio, offrendo contenuti di qualità senza chiedere nulla in cambio.
A noi piace dire che l’email marketing è, a differenza di tutti gli altri canali, quello più intimo perché arriviamo direttamente nella casella di posta e con un tap la persona ti può rispondere. E tieni anche presente che si tratta di una risposta intima e non pubblica come ad esempio è sui social. Una risposta privata è una risposta che vale di più. È l’inizio di un dialogo.
L’email marketing dovrebbe sempre essere così, una comunicazione a due vie.
Per questo devi inviare non solo offerte, proposte di acquisto, comunicazione di novità, ma anche sondaggi, richiesta di pareri, devi chiedere spesso le opinioni del pubblico della tua lista e poi comportarti di conseguenza, inviando contenuti di stretto interesse del singolo cliente.
Col dialogo ne guadagna anche la deliverability
Sollecitare risposte e inviare sondaggi conviene anche dal lato deliverability. Ogni contatto che ti risponde è un segnale positivo per la salute della tua lista e per la tua reputazione nei server di posta.
I feedback degli utenti dicono ai server di posta che di quel dominio e di quella email ci si può fidare, cosa che renderà molto più difficile uno spostamento in blacklist di spam. E a volte non finisci nemmeno nella tab promozioni di Gmail.
Ricordati quindi di impostare il tuo email marketing nel senso del dialogo.
4 – Mandare contenuti non pertinenti per il target (no segmentazione)
Fare email marketing significa giocare su più tavoli. Informazioni, promozione, marketing, commerciale, offerte, vendite. E questo comporta il riuscire a inviare ad ognuno la email che stava aspettando.
Va bene inviare la newsletter generale settimanale. Le persone si sono iscritte la prima volta alla tua lista perché desiderano informazioni sull’argomento/settore che tratti, ed è giusto accontentarli nel loro desiderio.
Dopodiché però il tuo compito è segmentare: capire chi è interessato a cosa, nello specifico, e riuscire a inviargli contenuti sempre più personalizzati, senza sparare nel mucchio.
Ad ognuno il suo contenuto
Ad ognuno va inviato il suo contenuto e anche il suo prodotto da acquistare.
Active Powered ad esempio offre prodotti di email marketing e di conseguenza abbiamo una, anzi due newsletter che parlano di email marketing. Ma non ci limitiamo a questo.
Ogni volta che inviamo le newsletter analizziamo i dati per segmentare la lista. Se scopriamo ad esempio che ci sono degli utenti particolarmente interessati all’argomento della deliverability, cominciamo a proporre a questi utenti prodotti in linea con quell’interesse.
E soprattutto isoliamo il segmento, che tornerà utile non solo per la parte marketing, ma anche per la parte vendita, perché un nostro venditore potrà essere in grado di sapere esattamente questo cliente chi è, cosa fa, quali sono i suoi interessi e potrà vendere in maniera più efficace i nostri prodotti.
Allo stesso modo potremo anche assegnare il cliente giusto al venditore giusto senza andare a prendere persone fuori target e quindi migliorare di molto l’efficienza del reparto commerciale con la segmentazione.
Altri vantaggi della segmentazione? Aumenta tantissimo l’open rate, e abbassa tantissimo lo spam rate, aumenta tantissimo l’engagement.
Tieni anche presente che se mandi sempre e solo una newsletter generica, è normale che non tutte le persone sono interessate all’argomento specifico. Ma se questo avviene diverse volte, le persone cominceranno a disiscriversi.
O, ancora peggio: non si cancellano ma cancellano l’email appena arriva, senza neanche leggerla. È peggio perché si tratta di persone che non sono più interessate ma che restando ancora in lista, pesano sulla stessa lista e che paghi a vuoto.
Segmentare sempre, alla prima occasione
Segmentare è importantissimo e bisogna farlo in ogni momento, appena se ne presenta l’occasione. Noi lo facciamo in maniera quasi ossessiva, già in sede di optin ad esempio.
Quando una persona aderisce ad un lead magnet e chiede il beneficio promesso, che può consistere in un video o in un ebook, prima di fargli scaricare il contenuto gli facciamo sempre quelle due o tre domande specifiche che ci fanno capire chi è, quali sono i suoi interessi, per poterlo segmentare già al primo arrivo.
Puoi segmentare anche in base alla newsletter, analizzando chi legge cosa. E puoi farlo inviando spesso sondaggi.
(Su questo a breve uscirà un nostro plugin per WordPress che aiuterà a segmentare molto più efficacemente).
E comunque qui c’è una guida completa alla segmentazione, accomodati pure.
5 – Non considerare le statistiche
Uno dei problemi del web in generale e dell’email marketing in particolare, è l’innamoramento per le proprie idee, a dispetto di tutto: persone che ti mettono in guardia, pareri autorevoli che non sei disposto ad ascoltare e soprattutto dati e statistiche, che più di tutti sono in grado di dirti quanto sono effettivamente buone (e redditizie) le idee che stai mettendo in pratica.
L’allergia alle statistiche di molti imprenditori è purtroppo causa di numerosi fallimenti. Non è la strada giusta, diciamo così.
La strada maestra invece, è leggere le statistiche, i dati. E prendere decisioni solo in base a questi. E nient’altro.
Tutte le idee, anche quelle che ci sembrano rivoluzionarie e per le quali siamo disposti a morire pur di non rinunciarci, devono essere sempre testate e validate. Capire quali dati ci servono, per quali periodi, in quali situazioni, input, condizioni. E raccoglierli tutti. Per poi analizzarli e prendere serenamente atto della situazione.
(Se i numeri sono negativi, l’operazione è fallita. Non importa quanto potesse essere preziosa per noi, quanto la considerassimo importante. Va chiusa).
Nell’email marketing possiamo disporre di ogni tipo di statistica. Se qualcosa è negativo, quel qualcosa va cambiato. Il che ci porta al punto successivo…
6 – Non fare gli A/B test
Gli A/B test sono, come dire, una “cosa buona e giusta” e vanno fatti spesso. Un A/B test è il sistema più semplice, immediato e sicuro per ottimizzare la propria attività online in maniera scientifica, senza doversi affidare al caso e incrociare le dita.
Quindi vanno fatti. E vanno fatti bene.
(E qui mettiamo un grande asterisco perché far bene un A/B test non è affatto semplice ed è meglio leggere una guida completa sugli A/B test, prima di farli).
Ma cos’è un A/B test? Come suggerisce il nome, non è altro che un confronto tra due varianti per vedere qual è la migliore. Gli A/B test vanno fatti un po’ su tutto: dagli oggetti delle email – molto importante, per capire quale frase performa meglio – ai copy delle email, e anche intere sequenze di email possono essere testate.
Più che test periodici, dovresti sforzarti di acquisire una vera e propria attitudine mentale a testare qualunque cosa ti capiti sotto mano e che sia fonte di dubbio. Il modo migliore per scoprire la verità, al di là di qualunque idea, visione, anche esperienza personale ti possa avere, è sempre quello di fare un test.
Il terreno ideale su cui far girare gli A/B test sono le headline, gli oggetti delle email e le landing page. Quello che noi facciamo spesso è testare due stili di proposta commerciale, una più soft, e una decisamente più spinta sul commerciale, che potremmo definire biecamente: “compra adesso, che aspetti?”.
Con i test comprendi il tuo pubblico
Il test ci dice con esattezza quale stile di proposta e relativo lessico ottiene più gradimento da parte del pubblico, sia in termini di open rate delle email e sia di optin per le landing page. E va benissimo. I dati ci dicono subito cosa è maggiormente apprezzato.
Possiamo anche testare intere sequenze di email (ovviamente avendo cura di variare un solo elemento per le due versioni, altrimenti non capirai mai quale elemento funziona meno).
Conservare questa attitudine al test, a lungo andare ti consente di essere sempre sintonizzato con il tuo pubblico. Da quale newsletter, o landing page, o contenuto funziona meglio a cosa il tuo pubblico apprezza di più o di meno. E naturalmente come vendere efficacemente i tuoi prodotti ad un pubblico che li sta attendendo.
I risultati dei test alla fine influiscono su tutto il tuo marketing. Se sai che lo stile “Compra adesso che aspetti?” non è apprezzato dalla maggior parte dei tuoi clienti, varierai di conseguenza tutta la tua comunicazione, compreso quella offline, quando all’evento metterai alle tue spalle uno striscione con uno slogan soft perché già sai che è quello che i tuoi clienti apprezzano.
7 – Comprare una lista email invece che costruirla
L’abbiamo messo al punto 7 ma avremmo potuto metterlo al primo, perché ormai lo abbiamo detto tante di quelle volte che ogni volta che ci imbattiamo nella ennesima lista comprata, ci assalgono i sensi di colpa!
Sì perché ancora oggi ci arriva il cliente che dice: vorrei collaborare con voi, mi hanno parlato bene, so che funzionate bene, quindi anche io vorrei spiccare il volo, ed ecco qui la mia lista.
E alla domanda: da dove viene questa lista?
La risposta è: “l’ho comprata sì, ma è una lista del mio settore, quindi è in target”.
Ah be’, se è in target, allora…
Ora, qui abbiamo la nostra guida sul perché non dovresti mai comprare una lista e puoi leggerla per sapere tutto.
Quello che possiamo dire qui è chiedere al nostro imprenditore con “lista in target”: ma quante persone della tua lista ti conoscono? In quanti ti hanno chiesto qualcosa, o hanno risposto ad una tua domanda, o hanno ricevuto un tuo contenuto/prodotto?
In quanti si fidano di te? In quanti parlano di te e ti consigliano ai loro amici?
Una lista comprata è dannosa e controproducente almeno per due ordini di motivi.
- Lo è dal punto di vista tecnico.
- Lo è dal punto di vista contenutistico.
Dannosa dal punto di vista tecnico
Una lista comprata è un ottimo modo per finire nelle blacklist dei server di posta. Ad esempio, cosa succede quando inseriamo una lista di incertissima provenienza o “in target”, in un software come ActiveCampaign?
Dopo pochi minuti dall’invio, il software nota subito una anomalia nel tasso della deliverability e negli open rate e comincia ad agitarsi: ti chiede le provenienze degli utenti della tua lista: da quali moduli, da quali pagine di optin, eccetera.
Tu non gliele dai e il software ti blocca. Lo fa lui prima che lo facciano i server di posta che comunque ti inseriranno in blacklist appena superi il parametro di una segnalazione per spam ogni mille contatti.
A quel punto arriva l’obiezione del cliente: ok va bene ma io adesso l’ho comprata, ci sono centomila contatti, non posso buttarla via così.
In questo caso la soluzione che proponiamo è: invece di lavorare “con” la lista, lavoriamo “sulla” lista.
La depuriamo.
Cominciamo ad esempio a dare quegli indirizzi a Facebook per impostare una campagna di lead generation e lasciamo che queste persone ci scoprano su Facebook e da lì ci scoprano e si iscrivano volontariamente alla nostra (nuova) lista. E cominciamo a utilizzare questa seconda lista, composta da utenti iscritti volontariamente e che quando riceveranno le nostre comunicazioni non reagiranno male, chiedendosi chi diavolo è questo o peggio, segnalandoci come spam.
Dannosa dal punto di vista contenutistico
L’altra ragione per la quale non si deve mai comprare una lista, è che l’email marketing si basa sulla fiducia. Le persone devono avere fiducia in noi, nel nostro brand, presupposto imprescindibile per la costruzione di una relazione.
È quello che si definisce inbound marketing: è la persona che viene da me a richiedere informazioni, perché mi ha visto e desidera saperne di più di me e dei miei prodotti/servizi.
Non sono io che vado a cercarla e magari a spammarla. Perciò è da questa piccola fiducia iniziale che posso iniziare a costruire un dialogo e una relazione più stretta con il cliente. Questo è il primo punto che porta a un’email marketing di successo.
Al contrario se il mio primo passo verso di te è: ho comprato il tuo indirizzo email adesso comincio a spammarti perché voglio vendere a manetta voglio venderti anche mia nonna, in questo modo non costruirò alcun rapporto di fiducia, figuriamoci quanto tempo dovrà passare prima che arrivi a dei risultati anche monetari, ammesso che ci arrivi.
Ostinarsi a lavorare su una lista comprata renderebbe inutile anche la nostra consulenza, perché anche se la facessimo sarebbe impossibile ottenere dei risultati. Come potremmo mai arrivare al risultato che ci prefiggiamo, ovvero ottenere una rendita costante di ricavi da clienti fidelizzati che poi diventano brand ambassador e fanno passaparola portando nuovi clienti?
Un risultato incompatibile con lo spammare una lista di mezzo milione di persone, facendo qualche affare grazie ai grandi numeri e lasciando che Gmail e mezza internet mi mettano nella lista dei pericoli spam. Ma questo non è email marketing. Sono praticamente truffe online.
Speriamo di essere stati chiari sulle liste comprate.
8 – Inviare email nel giorno e orario sbagliato
Questo più che un errore è una superficialità che puoi evitare con un minimo di attenzione. Certamente, mandare una email nel giorno che capita all’ora che capita, non ti consegnerà alle liste spam e non incrinerà la fiducia dei tuoi utenti.
Ma per quale motivo devi causarti minori ricavi non ricordandoti una semplice accortezza che può fare una differenza? Potresti semplicemente vendere di più, anche soltanto mandando l’email giusta al momento giusto.
La regola è che le email, di qualsiasi tipo, vanno mandate nei giorni e negli orari di massimo ascolto.
Già sappiamo che i giorni infrasettimanali e di fine mese sono i migliori per i lanci di prodotti.
Gli invii delle altre email vanno progettati in base ai dati e ai test. Già sai, o dovresti sapere, grazie agli A/B test, in quale giorno della settimana i tuoi utenti aprono di più le tue email.
Quello è il giorno.
Poi guarda qual è l’ora in cui aprono di più e quella è l’ora.
Piccolo consiglio. Quando scegli il giorno pensa anche al target. Noi avevamo come cliente un’azienda che lavora con i ristoranti e i ristoratori hanno tendenzialmente come giorno libero il lunedì.
Ci è parso ovvio inviare la newsletter proprio il lunedì e l’open rate ci ha premiato. Poi ovviamente abbiamo fatto dei test. Che hanno confermato questa impostazione.
L’email giusta al momento giusto per il pubblico giusto.
9 – Non personalizzare le email con gli shortcode
Le email si possono personalizzare e quello che fanno in molti, giustamente, è personalizzare il nome: “Ciao Stefano”, “Ciao Alessandro”.
Questa è la personalizzazione che si fa sempre, che è importante, ma che non è l’unica che puoi fare. Si può personalizzare il nome anche nella riga dell’oggetto, ma non sempre è consigliabile. Potrebbe anche irritare invece che ben predisporre, quindi va utilizzata con cautela. Magari puoi farlo in qualche email di fine lancio prodotto, quando è: o la va o la spacca.
Con gli shortcode puoi personalizzare in profondità
Gli shortcode sono delle stringhe di testo all’interno di parentesi quadre che ti consentono di incorporare nei tuoi messaggi le parole che desideri per personalizzare il testo che invii.
Ad esempio, un conto è leggere una email che dice: “Ciao, Giovanni”. Un altro è leggere nel testo una frase che dice: “perché per i clienti che hanno esigenze particolari come te, Giovanni, questo prodotto è davvero il massimo”.
Fa veramente effetto leggere un messaggio così.
Qui la chiave del successo è abbinare segmentazione e shortcode. Se abbiamo effettuato segmentazioni molto profonde, o comunque precise, possiamo preparare delle email dirette a singoli segmenti con il testo giusto per loro.
Ad esempio, noi facciamo email marketing e sappiamo quali nostri clienti hanno liste sotto i cinquemila contatti. Se sviluppiamo un prodotto indicato per quel tipo di cliente, inviamo email promozionali con testo in shortcode che dice: “per te che stai sotto i cinquemila contatti”.
Con segmentazioni e shortcode, puoi personalizzare le email a piacimento. Puoi inviare un sondaggio a risposte guidate e poi preparare delle automazioni in sequenza che in base alle risposte fanno partire email già personalizzate.
Ad esempio, un corso d’inglese che invia un sondaggio: dimmi quali sono i tuoi principali blocchi linguistici. Cinque risposte guidate, cinque automazioni diverse con cinque testi personalizzati che fanno preciso riferimento alla singola problematica.
Le combinazioni sono infinite.
Email personalizzate per la vendita
E ancora: con un software come ActiveCampaign – che comprende anche la parte vendite gestita da un CRM – e quindi avendo a disposizione tutti i dati dei venditori e dei commerciali che sono impegnati nelle trattative, puoi inviare delle email con gli shortcode, personalizzate al massimo.
“Ciao Giovanni, so che stai cercando una stampante molto piccola ma evoluta tecnologicamente. Posso suggerirti questo nostro ultimo modello con misure veramente minime e che, come desideri, ha anche il collegamento wifi? Questa stampante potrebbe davvero fare al caso tuo, Giovanni”.
Una email così ha davvero pochi concorrenti nella vendita. È un dialogo che fa parte di una relazione, il che ci porta al punto successivo.
10 – Inviare solo email promozionali
Lo abbiamo detto tante volte. Inviare sono email promozionali, è l’anticamera del fallimento dell’email marketing. C’è una grande differenza fra l’email marketing promozionale e l’email marketing relazionale e se conosci la differenza, sai già che utilizzando solo ilprimo tipo, i risultati saranno disastrosi.
Gli svantaggi sono tanti, il principale sarà l’abbandono del cliente a lungo termine che è il danno maggiore che puoi infliggere alla tua azienda.
11 – Inviare email solo grafiche o, peggio, a singola immagine
La email ideale è 99% testo e 1% immagine (abbiamo approfondito l’argomento copy vs design in questo articolo).
Addirittura rilanciamo: 100% testo e come grafica solo il logo.
Unbounce, società di marketing digitale specializzata nella costruzione di landing page basate sull’intelligenza artificiale e sull’autoapprendimento predittivo, ha condotto una interessante ricerca proprio su questi due punti cruciali, cercando di capire quale elemento, design o copy, faccia la reale differenza.
E il risultato è che il copy è il doppio più importante del design-grafica-immagini.
In particolare le immagini:
- Abbassano la deliverability.
- Molti client di posta non le visualizzano di default.
- Danno problemi di usabilità per le persone ipovedenti.
- Appesantiscono inutilmente le email.
Quindi, a meno che tu non sia costretto a inserire immagini perché sono connaturate al tuo business (se fai di professione il grafico e utilizzi l’email marketing in effetti potrebbero essere necessarie), devi sapere che le immagini danneggiano molto l’efficacia delle email.
Guarda le email di Google che è il maggiore provider di email al mondo, e sull’argomento la sa più lunga di tutti: c’è solo testo e al massimo qualche elemento di CSS per renderla un po’ più carina. Fine.
Ed è così che devono essere fatte tutte le mail a meno che non ci sia un motivo per aggiungere delle immagini, come nel classico esempio della email sul carrello abbandonato.
Ok in questo caso il carrello è l’immagine del prodotto, però ecco giusto in questo caso.
E siamo all’ultimo punto.
12 – Non pulire la lista email
Argomento importante, che abbiamo approfondito in diversi articoli. Dalla necessità di gestire gli utenti inattivi. alle azioni di gruppo, fino alla gestione dell’unsubscribe experience.
La lista dovrebbe sempre essere in perfetta forma, composta da persone reattive, attente, desiderose di ricevere tue notizie.
Avere una lista di contatti che non aprono le mail per per qualsiasi motivo, magari perché hanno perso ‘interesse magari semplicemente non esiste più quell’indirizzo o perché alcuni utenti non aprono le email da tempo, tutte queste persone dovrebbero essere individuate, gestite e nel caso eliminate, sia perché sporcano le statistiche non consentendoci di capire bene le nostre potenzialità di vendita e sia perché rappresentano un costo. In questo caso inutile.
12 errori comuni nell’email marketing in conclusione
Come hai visto nell’email marketing ci sono errori gravi ed errori veniali, impostazioni fondamentali e altre non indispensabili.
Ma soprattutto nell’email marketing c’è la necessità di partire bene senza trascinarsi dietro errori e impostazioni sbagliate che azzoppano tutto quello che di buono riusciamo a combinare.
Partire senza errori è la cosa migliore da fare. E se siamo già partiti ma sappiamo di avere nel motore delle componenti sbagliate, c’è da intervenire anche radicalmente e tagliare tutti i rami secchi e anche qualche radice marcia.
E una volta partiti bene, avere cura di analizzare i dati, gestire le problematiche, fare corretta manutenzione, nel corso del tempo, di tutto quello che è un asset preziosissimo della tua azienda: la lista di email marketing.
Devi averne la massima cura.
E quando scorgi problemi e vedi incongruenze, intervieni subito. Senza timore. E senza incertezze. Meglio una tabula rasa che un tavolo malmesso e soprattutto pericolante.