I più grandi errori che abbiamo commesso in Active Powered
L’imprenditore che non fa errori non esiste. Se tutte le persone possono sbagliare, l’imprenditore è quello che ha la più alta possibilità di sbagliare, direttamente proporzionale al rischio che affronta. Quando ci indovina la ricompensa può essere alta, ma se provi a parlare con ognuno di questi grandi imprenditori, ti diranno che questo successo l’hanno pagato caro, facendo tantissimi errori. Tutti, nessuno escluso. E naturalmente anche noi di Active Powered abbiamo il nostro libricino nero.
Perché l’imprenditore perfetto non esiste, se non nella mitologia di qualche ufficio stampa a cui è scappata la penna di mano o addetti alle pubbliche relazioni pagati per recitare storie di epiche vittorie.
Gli imprenditori sbagliano, anche i più grandi
Le persone che fanno la storia, i veri innovatori, fanno un ulteriore passo avanti e vedono il fallimento come un semplice trampolino di lancio verso il successo. Thomas Edison è un ottimo esempio. Gli ci sono voluti 1000 tentativi per sviluppare una lampadina che funzionasse davvero. Quando qualcuno gli ha chiesto come ci si sente a fallire 1000 volte, ha detto: “Non ho fallito 1000 volte. La lampadina era un’invenzione con 1000 passaggi”.
L’imprenditore illuminato tiene a bada l’ego
Nel 2020 la startup Quibi sembrava aver trovato un business promettente al punto che dopo soli sei mesi mesi il lancio del suo servizio di streaming aveva raccolto dagli investitori 1,7 miliardi. Il business di Quibi era semplice: trasformare i video di Youtube in televisione. Più specificamente, creando clip di 10 minuti che sarebbero state guardate su dispositivi mobili, in modalità verticale durante gli spostamenti.
Che cosa è andato storto? Innanzitutto, i prezzi. Youtube e TikTok sono gratuiti e pochi clienti erano disposti a pagare per contenuti solo per smartphone. Ma soprattutto il grande problema fu la pandemia.
Subito dopo il lancio dell’app, molte persone hanno smesso di fare il pendolare e hanno avuto molto più tempo a casa per guardare i contenuti su uno schermo più grande. Non eccezionale per ” intrattenimento di transito”.
Gli investitori chiesero al Ceo di cambiare il suo modello di business ma lui si rifiutò di farlo.
Il fallimento di Quibi è una storia di autosabotaggio. L’azienda ha fatto affidamento sull’ego più che sul talento.
L’ego può essere un grande problema per l’imprenditore. Va tenuto a bada.
L’imprenditore deve essere brutalmente onesto
Qual è la lezione che si può trarre da questa e anche da altre storie di fallimenti di cui è piena la storia del business? Che sbagliare capita a tutti. Ma è necessario poter impararare dai propri errori. E il primo requisito per farlo è la capacità di ammettere l’errore.
Bisogna essere, come spesso ripete il nostro Stefano Mini “brutalmente onesti con se stessi”.
Cosa vuol dire essere “brutalmente onesti?”. Significa avere la capacità di mettersi in discussione, di analizzare senza pregiudizi o paraocchi una determinata situazione ed essere pronti ad ammettere l’errore.
Perché l’obiettivo non è quello di non fare errori. Ma di non fare lo stesso errore due volte.
Non innamorarsi mai delle proprie idee o convinzioni
È un errore che si commette spesso e che vediamo commettere anche oggi quando i nostri consulenti parlano con gli imprenditori. Di fronte a critiche o semplicemente a segnalazioni l’imprenditore, spesso reagisce con fastidio. Questo perché si confida nella bontà della gestione del business e si tende, per esempio, a tralasciare i dati.
Come riconoscere gli errori
Una ricerca ormai datata ma ancora largamente utilizzata di Harvard Business Review, prende in esame errori che hanno portato non solo al fallimento di una azienda, ma addirittura una vera e propria catastrofe, ambientale, ecologica, missilistica eccetera.
Dalle telecomunicazioni alle automobili, alla NASA, la ricerca rivela uno schema: numerosi segnali di allarme che hanno preceduto (e prefigurato) ogni disastro e crisi aziendale sono stati per la maggior parte ignorati o interpretati male. la ricerca mostra anche i bias cognitivi che spesso accecano i manager.
Sono due, in particolare:
- La “normalizzazione della devianza”.
- Il bias del risultato.
La normalizzazione della devianza è la tendenza ad accettare le anomalie, in particolare quelle rischiose, come normali. Per un’organizzazione,una tale normalizzazione può essere catastrofica.
Quando lo Space Shuttle esplose in volo, si scoprì che la causa principale fu una costanza sottovalutazione di una anomalia di volo.
Il bias del risultato invece avviene quando le persone tendono a concentrarsi sui risultati che desiderano fortemente più di ogni altra cosa, tralasciando i processi, spesso complessi, che li producono.
In questo modo perdere la bussola è facile.
Tieni una lista dei tuoi errori
Gli imprenditori più avveduti hanno una lista dei propri errori. Guardano quella lista per dire cose come “Sì, questa è stata proprio una stupidaggine” oppure “Questo l’ho davvero incasinato senza possibilità di riuscita”.
Troppo spesso le persone vogliono dimenticare subito i propri errori e andare avanti. Ma questo non ti aiuta a imparare.
Guardare i tuoi errori è una cosa positiva.
Indaga su ogni errore
Tenere una lista di errori serve soprattutto a imparare a non commetterne altri uguali o simili. Ripercorrere i propri errori permette di farsi alcune domande fondamentali.
- Cosa volevo ottenere?
- Qual è stato il risultato effettivo?
- Cosa avrei potuto fare di meglio?
- Come si sarebbe potuto evitare questo errore?
- Quando potrebbe ripetersi questa situazione?
- Come lo gestirò la prossima volta?
I più grandi errori che abbiamo commesso in Active Powered
Fermo restando che tutti sbagliano ma è necessario riconoscere i propri errori per poter imparare, ecco i nostri più grandi errori che abbiamo commesso in Active Powered.
Espanderci con nuovi software
Active Powered è partita come rivenditore di ActiveCampaign per clienti italiani a cui si offriva anche un pacchetto di servizi gratuiti. Questo prodotto è andato talmente bene che pensammo di allargarci ad altri software aziendali come Zendesk, Zoom e Camtasia.
Non andò altrettanto bene. Scoprimmo che i clienti erano interessati ad ActiveCampaign ma non lo erano rispetto ad altri software. Scoprimmo che Zoom stava avendo successo sul target consumer, ma nel B2B erano indietro a livelli spaventosi, e non riuscimmo a realizzare nessun prodotto da offrire ai nostri clienti.
L’unico con cui ottenemmo qualche risultato fu con Zendesk, software aziendale di servizio clienti con cui abbiamo realizzato Desk Hero e adesso EdgarBot, il bot intelligente per l’assistenza clienti.
Che lezione abbiamo tratto? Abbiamo imparato che ai nostri clienti non importava nulla dei software che tentavamo di proporgli. E abbiamo abbandonato l’idea.
Le consulenze a prezzo troppo basso
Il core business di Active Powered è la consulenza sul Customer Experience Marketing. Ma quando siamoi partiti con le consulenze, abbiamo scelto di tenere i prezzi molto bassi, per aiutare il mercato. A posteriori, questo è stato un errore.
Per tenere i prezzi bassi, la consulenza non era di grande qualità e inoltre l’idea era di lavorare sulla quantità. Per cui prezzi bassi e poche ore di consulenza a disposizione dei clienti.
Ma alla fine questa scelta ha scontentato tutti. I nostri profitti erano bassi e i clienti molto perplessi per non dire insoddisfatti.
Il nostro cliente-tipo è un’azienda che ha una attività, che fattura, che ha dei numeri rilevanti, per cui da un lato i prezzi bassi di una consulenza non fa la differenza rispetto alla qualità della stessa, che invece è la cosa che davvero conta. È la qualità della consulenza, che gli permette di fare un salto di qualità, elemento che fa la differenza.
Per cui abbiamo alzato i prezzi e di conseguenza le ore a disposizione. Ora, con prezzi più alti – ma sempre in linea con il mercato – possiamo dare un servizio migliore e i clienti sono più contenti perché anche se spendono di più hanno risultati migliori.
Sembra facile ma siamo dovuti passare attraverso un errore, per rendercene conto.
La ricerca del team
Quando abbiamo alzato prezzi e qualità delle consulenze, ben presto ci siamo riempiti di clienti e le ore a disposizione di ognuno di noi stavano andando verso l’esaurimento. Era il momento di assumere almeno una nuova risorsa, ma per parecchio tempo abbiamo rimandato questa assunzione.
Ci dicevamo che non era urgente, che tanto quando l’avremmo cercata, l’avremmo trovata subito, insomma, abbiamo procrastinato. Troppo.
Quando ci siamo risolti a cercare un consulente ci siamo accorti che trovare la persona giusta era molto difficile e abbiamo perso un sacco di tempo nella ricerca.
Questo ha comportato ulteriori perdite di tempo e anche di fatturato, perché intanto la lista d’attesa si allungava e i consulenti erano tutti oberati di lavoro.
Abbiamo anche capito che il modo migliore per trovare questa risorsa era di costruirla in casa, per cui abbiamo assunto un junior che abbiamo formato per sei mesi, più altri sei mesi di affiancamento.
Adesso va bene, ma se la decisione di trovare una nuova risorsa l’avessimo presa prima, non avremmo perso molti soldi. E se si dovesse ripresentare l’occasione di assumere un’altra risorsa, non perderemo tempo inutilmente.
Non restare focalizzati
Una delle definizioni dell’imprenditore che forse è la più autentica e significativa è che un imprenditore regna nel caos, perché bisogna continuamente testare cose per poi svilupparle o abbandonarle, altre lasciarle a metà, altre ancora portarle a termine in maniera diversa da come si era pensato.
In una situazione come questa, è necessario cercare di restare focalizzati, di tenere la barra dritta senza cedere al caos.
Un errore che facemmo fu quello di stressare un membro del team particolarmente bravo, cambiandogli continuamente di compito e finendo per fargli perdere la bussola.
L’errore in questo caso è demotivare il collaboratore, in modo da far perdere di significato il suo lavoro. Gli americani usano un’espressione efficace: il mining, che si può tradurre come significato, scopo, obiettivo. I collaboratori hanno bisogno di sapere che stanno dentro un percorso e di percepire dei miglioramenti nella qualità del proprio lavoro.
Se l’imprenditore invece tratta le persone come pedine e le sposta da una parte all’altra in maniera repentina ed emotiva, causerà molto probabilmente la demotivazione del suo collaboratore.
In conclusione
Come hai visto commettere errori è una situazione normale per un imprenditore. Quello che invece non è normale e non riuscire a imparare dai propri errori, e la condicio sine qua non è riconoscere l’errore. Senza riconoscimento non c’è insegnamento possibile.