Bada a come parli: strategie e creatività per vincere la guerra dell’attenzione
Oggi per un brand che opera online riuscire a ottenere e mantenere l’attenzione dei consumatori è il problema dei problemi. In mezzo al sovraccarico di canali informativi, offerte di contenuti, influencer e annunci pubblicitari, un brand sconosciuto non ha alcuna possibilità di affermarsi se non riesce a rendersi visibile agli occhi del consumatore, figurarsi poi riuscire ad aumentare il pubblico e, di conseguenza, i clienti. Il problema dei marketer è tutto nel riuscire a vincere la guerra dell’attenzione, capire di quali strumenti disfarsi perché ormai inutili e quali nuove strategie adottare, tra tone of voice efficaci, creatività che riescono a imporsi e audience che in molti casi va creata da zero.
Strategie e creatività per vincere la guerra dell’attenzione
Il problema dell’attenzione non è un tema nuovo: già nel 1971 lo psicologo ed economista Herbert A. Simon scrisse del concetto di economia dell’attenzione avvertendo che “una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione”.
E negli anni Novanta, con l’avvento di internet, si è capito definitivamente che “ottenere attenzione significa godere di una sorta di ricchezza duratura che ti mette in una posizione privilegiata per ottenere qualsiasi cosa questa nuova economia offra”.
Ai giorni nostri l’economia dell’attenzione è stata attentamente analizzata e studiata a fondo da esperti e istituzioni, arrivando a definire esattamente quanto e come l’attenzione si forma nella mente del consumatore e quanto tempo è necessario perché questo avvenga.
Attira l’attenzione per 2.5 secondi
“Fino ad oggi, i brand avevano sfruttato internet soprattutto per puntare su chi era già più o meno propenso all’acquisto. Il vero scoglio, però, è sempre stato ampliare il proprio pubblico. Qui si ha bisogno di tempo, pazienza e, soprattutto, dell’attenzione dell’utente finale, che è sempre più difficile ottenere, perché, diciamolo: chi non ti conosce il più delle volte non ha nessun interesse a starti a sentire”.
(Dalla Newsletter LetMeTellIt di Antonio Bellu)
Secondo una ricerca condotta da Karen Nelson-Field, esperta di fama mondiale nel campo delle scienze sull’attenzione, pubblicata nel libro The Attention Economy: How media works, l’85% delle visualizzazioni di oltre 130.000 annunci esaminati, non ha raggiunto i 2,5 secondi o più di attenzione attiva necessari per avere un impatto sulla memoria del brand e quindi contribuire a creare disponibilità mentale verso quel brand.
Quanto vale la guerra dell’attenzione
Quanto vale l’attenzione dell’utente? Ha un valore straordinario, avvisa Forbes: 853 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie nette globali generate solo nel 2023. Il che ci dice che se abbiamo l’attenzione dell’utente, abbiamo anche il suo portafoglio.
Il problema è che gli annunci sono troppi. Ogni giorno nella nostra email, nei feed social, nei video, nei podcast, vediamo o ascoltiamo troppi annunci ignorabili o addirittura irritanti per tutti, tranne che per coloro che sono pronti ad acquistare subito.
Ma raggiungere persone che al momento non sono sul mercato richiede un approccio creativo totalmente diverso.
Dal momento che la maggior parte di loro non è interessata a te, devi impegnarti molto di più per catturare la loro attenzione e fare un’impressione duratura, in modo che quando arriverà il momento, i piccoli semi che hai piantato nelle loro sinapsi avranno la possibilità di fare il loro lavoro.
Conquistare l’attenzione. O crearla.
Un tempo il mercato era fatto da brand che con la propria, ordinaria, comunicazione riuscivano a fare breccia nella mente dei consumatori, ad affermarsi e a durare nel tempo.
Successivamente è arrivato il tempo di “pensare in modo differente”, con i vari Apple, Nike e gli altri big del “pensiero e azione alternativi”. Due modi di orientarsi sul mercato, puntare sul brand o sul prodotto.
Oggi siamo alle soglie di un nuovo modo di operare sul mercato: crearsi la propria audience. In altre parole: prima si crea un pubblico e poi si cerca di vendergli un prodotto.

I primi esempi di questi nuovi “mezzi di combattimento” arrivati sul mercato sono già visibili: fatti di tone of voice sorprendenti e innovativi, influencer con un proprio pubblico, segmentato e motivato, che comunicano direttamente il prodotto, quando non proprio prodotti inventati esattamente per quel pubblico.
Liquid Death
Liquid Death è un brand che sta rivoluzionando un mondo che sembrava inconquistabile e definitivamente affermato e invincibile: quello dell’acqua confezionata in piccole quantità, un mercato saldamente in mano alla grande distribuzione con le sue bottiglie di plastica. E nel quale entrare è considerato praticamente impossibile.

Liquid Death offre acqua e tè freddi, confezionati in lattine di alluminio con una comunicazione audace e sorprendente, in grado di fare breccia per molto di più dei canonici 2.5 secondi. Nonostante il nome lugubre e il suo stile da heavy metal, il brand è profondamente impegnato nella sostenibilità, sostituendo le bottiglie di plastica con alluminio infinitamente riciclabile.
Liquid Death non riguarda solo il prodotto, riguarda la sfida allo status quo, prendendo in giro il marketing convenzionale e rendendo la sostenibilità sexy.
I loro canali social sono pieni di contenuti esilaranti e dark-comici, che fondono elementi dei film horror con l’attivismo ecologico del mondo reale. In un mercato affollato, Liquid Death è la bevanda che non si limita a idratare, è una cultura, un atteggiamento e una missione per salvare il pianeta.
Il target principale di Liquid Death è un mix di millennial e Gen Z attenti all’ambiente che apprezzano la sostenibilità ma non vogliono scendere a compromessi sul fattore cool. Sono le persone che hanno a cuore l’ambiente, ma abbracciano anche l’individualità, l’umorismo e l’irriverenza. Sono quelli stanchi del branding convenzionale e “noioso” e sono attratti da qualcosa di audace, audace e non convenzionale.
Burgez
Creato dal direttore marketing Simone Ciaruffoli, Burgez è un brand di hamburger che fa della comunicazione scorretta e al limite del concepibile il suo punto di breccia nella mente del pubblico.
Cosa c’è di più comune di un Hamburger? E cosa c’è di più affollato del mercato dei fast food a base di panini con l’hamburger? Eppure Burgez è riuscito a collocarsi sul mercato con un prodotto che ha certamente delle qualità (materie prime italiane, ottimi fornitori, salse create in casa) ma il colpo decisivo l’ha assestato la strategia di marketing e comunicazione. Che definire aggressiva forse è riduttivo.

La strategia di Burgez è: farsi notare, farsi apprezzare, farsi amare.
A cominciare dal suo claim: “Try Not To Come Back If You Can”. Un po’ come un amore persuasivo, provocatorio, non del tutto sano, di cui non riusciamo a fare a meno.
Come nota Marketing Espresso: “La filosofia aziendale di Burgez consiste ‘nell’’andare sempre nella direzione opposta’, calpesta anche il mito del ‘il cliente ha sempre ragione’, per lasciare spazio al gioco e alla schiettezza.
Ad esempio, se è ormai uso per i brand creare un post di ringraziamento al raggiungimento di numero indefinito di followers, Burgez invece prende la direzione opposta, li manda a quel paese.
Oppure se il tema è la sostenibilità, ecco come la pensa il brand:

E se ancora non è chiaro:

Quando si ha a che fare con Burgez, non c’è mai limite alla creatività.
Ad esempio, in Italia la pubblicità comparativa, a differenza degli altri paesi occidentali, non è praticamente utilizzata, poiché il passo per diventare denigratoria nei confronti dei competitor menzionati è molto breve.
Ed ecco come l’affronta il brand.

Come nota Marketing Espresso: “con un implicito riferimento al principale competitor McDonald’s, Burgez “ne esce ‘pulito’. Non è diffamante, anzi, viene esaltato il prodotto del concorrente.
Ma sicuramente incuriosisce, attira l’attenzione e crea un’associazione mentale istintiva con il top player del settore.
Taffo
Se un agenzia di pompe funebri è conosciuta in tutta Italia non è certamente merito dei suoi servizi, in tutto e per tutto uguali ai concorrenti.
Eppure Taffo la conoscono tutti e il merito è solo del suo creator Riccardo Pirrone che ha sposato instant marketing e brand activism in un mix che ha fatto epoca.

Per Riccardo Pirrone, il creativo dietro le campagne ”Taffo non è la solita agenzia di pompe funebri che ti lascia il telefono e poi tu la chiami per il servizio classico e stop. Noi cerchiamo di parlare con le persone e di interessare le persone a discorsi un po’ più ampi, a temi sociali che possono coinvolgerli o meno da vicino. Gli impresari di pompe funebri, al di là del loro lavoro, sono cittadini e persone come tutti gli altri, hanno anche loro a cuore temi importanti e di grande valenza sociale. Impostare con i futuri clienti uno scambio di vedute, di propositi, di fini comuni può portare, poi, a trattare anche la morte in modo non così meccanico o solo economico, ma a qualcosa di partecipativo che nasce e scaturisce da una community di discussione e confronto”.
NeN
Perfino le bollette della luce e il fornitore di energia elettrica possono diventare un brand spregiudicato: è il caso NeN, un brand che ha preso vita all’interno di A2A, una delle principali aziende di energia in Italia, con l’obiettivo di rispondere in modo trasparente, meno complesso e noioso a domande come “Quanto spenderò a fine mese?” e “Come si legge una bolletta?”.
Come annota Marketers “Uno degli aspetti che ha contribuito a rendere NeN una vera EnerTech, è sicuramente l’utilizzo intelligente di tecnologia e un’attenzione particolare a una buona user experience, all’interno di un mercato dominato da processi antiquati”.

Con la sua app, NeN ha reso possibile per gli utenti monitorare i consumi di luce e gas in tempo reale, visualizzare i picchi di potenza e confrontare i dati storici, tutto a portata di mano. Questa esperienza digitale elimina le complicazioni della burocrazia energetica e consente di gestire i costi in modo trasparente e chiaro, senza bisogno di lunghe chiamate al servizio clienti.
Questo perché il brand ha ben presente il target al quale si vuole rivolgere: una fascia di utenti digitalizzati e informati, desiderosi di semplicità e trasparenza.E di conseguenza la loro offerta è pensata per chi vuole evitare le complicazioni burocratiche e avere controllo totale sui propri consumi con la massima facilità. Ai quali rivolgersi con sincerità e chiarezza.

Frank Gramuglia
Nel panorama degli influencer un ruolo di primo piano se lo è ritagliato un personaggio che partendo dalla satira sul lavoro oggi riesce ad attirare brand che hanno il mercato del lavoro come obiettivo e che oggi utilizzano la sua voce per pubblicizzare prodotti.
Frank Gramuglia, noto per la sua comicità e i suoi video virali sui social media, ha una strategia ben precisa che lo ha portato al successo.
Dopo aver lavorato per anni nel settore alberghiero, ha iniziato a pubblicare video ironici e dissacranti sulle dinamiche lavorative e le sue numerose storture.
Questa combinazione di autenticità, ironia e una forte presenza sui social media ha permesso a Frank Gramuglia di diventare una figura influente sul tema del lavoro e un influencer di primo piano per le aziende B2B del settore.
Bada a come parli: tone of voice, audience e creatività per conquistare l’attenzione in conclusione
Quelli che abbiamo raccontato sono solo alcuni brand che stanno lasciando il segno con una comunicazione efficace e diretta che ha permesso loro di vincere la guerra dell’attenzione.
Il punto centrale è che per essere e rimanere rilevanti, oltre ad avere un prodotto interessante per una fascia di clienti ben individuata, bisogna fare qualcosa in più sulla comunicazione.
Avere una idea ma soprattutto avere coraggio. Che come diceva il prelato di Alessandro Manzoni, “se uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Però può cercare qualcuno bravo che glielo dia.